
Chi tratta la vulvodinia lo sa: non è un dolore qualunque.
È un dolore invisibile, che vive nei circuiti nervosi, nelle sinapsi ipersensibili, nella memoria del corpo.
Ed è proprio lì che agiscono i farmaci — non per “stordire” la paziente, ma per rieducare il sistema nervoso a non reagire come se ogni contatto fosse una minaccia.
- Un dolore che nasce dai nervi
- Amitriptilina: il veterano dalle mille vite
- Gabapentin e Pregabalin: i “calmatori dei canali”
- Duloxetina: il farmaco che dice al tuo cervello: “respira, non tutto ciò che senti è un attacco.”
- L’arte sta nel dosaggio
- Il farmaco da solo non basta
- Il concetto chiave: neuroplasticità
- Conclusione
- Bibliografia
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Un dolore che nasce dai nervi
La vulvodinia è un dolore neuropatico: non deriva da una ferita o da un’infezione, ma da una disfunzione della percezione del dolore.

Molto in breve: Le sinapsi delle fibre nervose periferiche (le sinapsi sono i punti di contatto tra due neuroni, dove avviene la trasmissione del segnale nervoso) diventano iperattive e rilasciano troppi neurotrasmettitori eccitatori. In più, si riduce l’efficacia dei neurotrasmettitori inibitori della trasmissione nervosa (serotonina, noradrenalina).
I canali del sodio e del calcio delle terminazioni nervose vulvari si aprono troppo facilmente riducendo la soglia di attivazione del nervo.
I circuiti nervosi spinali si potenziano, e il cervello impara (aimè!) che anche uno stimolo lieve è pericoloso!
Ecco perché servono i farmaci neuromodulatori: non analgesici classici, ma sostanze capaci di modificare il linguaggio dei nervi.
Amitriptilina: il veterano dalle mille vite

Conosciuta come Laroxyl, l’amitriptilina è nata come antidepressivo, ma nel dolore cronico ha trovato la sua vera vocazione.
A basse dosi agisce come un modulatore della comunicazione sinaptica.
L’amitriptilina blocca la ricaptazione di serotonina e noradrenalina, potenziandone l’effetto inibitorio sulla trasmissione nervosa a livello sinaptico; chiude parzialmente i canali del sodio delle fibre nervose calmando l’iperattività dei nervi periferici; modula le vie discendenti del midollo spinale che inibiscono il dolore. Può essere utile anche per migliorare il sonno e per rompere il circolo ansia-dolore.
Non cura le cause della vulvodinia, ma riporta il volume del dolore su livelli più fisiologici.
Il dosaggio del Laroxyl va aumentato graduallmente: mediamente da 6 mg la sera (3 gocce) fino a massimo 50 mg.
Effetti collaterali? Bocca secca, stanchezza mattutina, appetito aumentato.
Ma usata bene — iniziando piano e salendo con gradualità — è uno degli strumenti più efficaci e studiati nel dolore neuropatico pelvico.
Gabapentin e Pregabalin: i “calmatori dei canali”

Entrambi nascono come anticonvulsivanti, ma in realtà sono dei modulatori dei canali del calcio e diminuiscono l’iperattività dei neuroni sensitivi.
Risultato: i nervi smettono di “sparare” impulsi a raffica.
Il Gabapentin va aumentato gradualmente: da 100 mg 3 volte al giorno fino ad un massimo di 1800 mg totali.
Il Pregabalin (Lyrica) è più stabile nel suo effetto farmacologico e agisce più rapidamente, anche questo da dosaggi minimi di 25 mg a salire.
Effetti collaterali? Vertigini, sonnolenza, aumento di peso.
Ma anche una riduzione importante dell’iperestesia, del bruciore e del dolore da contatto. Alcune pazienti riferiscono che “il dolore non sparisce del tutto, ma smette di comandare”.
Duloxetina: il farmaco che dice al tuo cervello: “respira, non tutto ciò che senti è un attacco.”

Antidepressivo di nuova generazione, la duloxetina (Cymbalta) aumenta la disponibilità sinaptica di serotonina e noradrenalina, i due principali neurotrasmettitori inibitori della trasmissione, ma con minor impatto sugli effetti collaterali rispetto al Laroxyl.
Provoca la riduzione della trasmissione sinaptica del dolore, l’aumento della soglia del dolore e la riduzione della sensibilizzazione centrale.
È utile soprattutto quando la vulvodinia si accompagna ad ansia o depressione reattiva, condizioni frequenti nel dolore cronico.
Ha un profilo analgesico documentato nel dolore neuropatico periferico (come la neuropatia diabetica) e viene usata in dosi di 30–60 mg/die. Può dare un po’ di insonnia o nausea iniziale, ma è generalmente ben tollerata.
L’arte sta nel dosaggio

La terapia farmacologica nella vulvodinia non si misura in milligrammi, ma in tempo e tolleranza. Ogni farmaco va aumentato lentamente, con obiettivo di trovare la dose “funzionale”, quella che calma i nervi senza annullare la vita. Spesso i farmaci hanno un effetto migliore se somministrati in associazione. Per questo la regola è “start low, go slow”: partire basso e salire piano, fino a trovare la dose minima efficace.
- I benefici compaiono dopo 3–4 settimane, quando le vie sinaptiche si ricalibrano.
- La terapia viene mantenuta per 3–6 mesi (spesso di più, secondo risposta e tolleranza).
- La sospensione deve essere graduale.
- Preferire l’assunzione dopo cena o prima di dormire.
- Se compaiono sonnolenza intensa o secchezza orale, non aumentare la dose: spesso il corpo si adatta in pochi giorni.
- Evitare alcol e altri farmaci sedativi concomitanti.
Il farmaco da solo non basta
I migliori risultati si ottengono quando la terapia farmacologica è inserita in un protocollo integrato:
- fisioterapia del pavimento pelvico,
- correzione delle alterazioni ormonali,
- prevenzione delle infezioni vulvo-vaginali e urinarie ricorrenti
- educazione alla corretta gestione quotidiana,
- gestione dello stress e delle problematiche sessuali
- supporto psicologico mirato.
L’obiettivo non è “zittire” il dolore, ma restituire controllo e autonomia alla paziente.
Il concetto chiave: neuroplasticità

La neuroplasticità è il linguaggio con cui il cervello impara la vita. Ma a volte impara anche il dolore — e allora la cura è insegnargli di nuovo la sicurezza.
La neuroplasticità è la capacità del sistema nervoso di modificare la propria struttura e funzione in risposta agli stimoli, alle esperienze e agli apprendimenti.
È ciò che ci permette di imparare, adattarci e guarire — ma anche, paradossalmente, di mantenere il dolore.
Attraverso farmaci, fisioterapia mirata e terapie di desensibilizzazione, si può indurre una rimodulazione funzionale delle sinapsi. In termini semplici:
- i nervi imparano a “calmarsi”,
- il cervello smette di reagire con allarme costante,
- il corpo torna a interpretare il contatto come neutro, non come aggressione.
Conclusione
Ogni donna con vulvodinia racconta un dolore diverso, e per ciascuna serve un equilibrio unico tra corpo e cervello.
I farmaci sono strumenti per ripristinare il dialogo interrotto tra sistema nervoso e percezione.
Usati con competenza e delicatezza, diventano ciò che dovrebbero sempre essere: mediatori di sollievo, non sedativi della vita.
Bibliografia
Treatment of Provoked Vulvodynia: A Systematic Review




