
La vulvodinia è una di quelle condizioni ginecologiche che, nonostante la loro diffusione, rimangono ancora avvolte in un velo di mistero e spesso di silenzio. Si tratta di un dolore cronico, localizzato nella zona vulvare, che persiste da almeno tre mesi, senza che vi siano cause evidenti come infezioni o altre patologie riconoscibili.
Un dolore sordo, bruciante, talvolta pungente, che può manifestarsi spontaneamente oppure essere provocato, ad esempio, dal contatto con indumenti stretti, dai rapporti sessuali, o addirittura da una semplice visita ginecologica.
Immaginate di sedervi su una sedia e sentire come se foste sedute su carta vetrata. Oppure di mettere un jeans e avere la sensazione che siano fatti di spine. Ecco, per molte donne affette da vulvodinia, queste non sono metafore, ma descrizioni fin troppo accurate della loro quotidianità. Il problema, però, è che questa condizione spesso non viene riconosciuta subito.
Alcune donne passano anni a cercare risposte, saltando da un medico all’altro, sentendosi dire: “Lei non ha niente”. Ma quel “niente” è, in realtà, un dolore cronico che può compromettere seriamente la qualità della vita.
Dal punto di vista scientifico, la vulvodinia è una sindrome complessa. Le cause non sono ancora del tutto stabilite, ma è legata a una combinazione di fattori: alterazioni dei nervi periferici della vulva, infiammazione dei tessuti, squilibri ormonali, ipertono del pavimento pelvico, e persino predisposizioni genetiche.
Alcuni studi suggeriscono un’associazione con condizioni come la fibromialgia, la cistite interstiziale e la sindrome dell’intestino irritabile, tutte accomunate da un’ipersensibilità del sistema nervoso centrale. Un cervello a volte “ molto all’erta” a causa del dolore cronico.
Anche il microbiota vaginale potrebbe avere un ruolo: recenti ricerche stanno indagando se uno squilibrio della flora batterica possa contribuire all’insorgenza dei sintomi.
Senza dimenticare lo stress, il grande burattinaio invisibile, che sembra poter tirare i fili di molti disturbi cronici, e che nelle donne con vulvodinia può accentuare la percezione del dolore.
Trattare la vulvodinia richiede un approccio multidisciplinare. Non esiste una bacchetta magica, né una terapia valida per tutte. Si possono utilizzare farmaci ad azione locale o sistemica, come anestetici, antinfiammatori, antidepressivi triciclici o anticonvulsivanti, ma anche fisioterapia del pavimento pelvico, tecniche di rilassamento, psicoterapia. Il segreto, se così possiamo chiamarlo, sta nell’ascolto attento della paziente e nella personalizzazione della cura.
E qui veniamo alla parte più importante: rompere il silenzio. Parlare di vulvodinia non è solo una questione medica, ma anche culturale. Il dolore femminile genitale ancora oggi, è sottaciuto, quasi fosse un tabù. Ma il dolore non è mai una colpa, e la vulva merita la stessa dignità di qualsiasi altra parte del corpo. Anzi, forse un po’ di più, visto tutto quello che deve sopportare.
Dunque, care lettrici, se sentite che qualcosa non va, non esitate a chiedere aiuto. E se qualcuno vi dice “è solo nella tua testa”, rispondetegli che, invece, è reale ed è molto più in basso. La conoscenza è il primo passo per la cura, e la vulvodinia, anche se ostinata, può essere affrontata. Con il giusto supporto medico, una buona dose di pazienza, e una corretta aderenza alla terapia. Perché, in fondo, anche la vulva ha diritto al suo happy ending.
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