L’INCUBO DELLA CISTITE CRONICA

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CHE COSA E’ LA CISTITE CRONICA ?

La cistite batterica cronica è una infezione ricorrente della vescica, tipica del sesso femminile, spesso sottovalutata e trattata in modo inadeguato.

Cistite cronica
ANATOMIA DELLA PELVI FEMMINILE

Infatti la cistite batterica cronica viene considerata semplicemente come…...... la ripetizione ravvicinata di singoli episodi di cistite acuta!

E come tale viene curata…..

La cistite batterica acuta è una delle infezioni femminili più comuni nella donna, e il 50-60% delle donne adulte avrà una cistite nella sua vita. Generalmente il primo episodio coincide con l'inizio dei rapporti sessuali. Nella maggior parte dei casi le cistiti sono “non complicate”, ovvero compaiono in donne sane che non hanno alcuna alterazione delle vie urinarie.

La cistite batterica cronica o ricorrente viene definita come la comparsa di 3 o più episodi di cistite in un anno. L’incidenza della cistite batterica ricorrente non è certa, ma alcuni studi riportano una percentuale di recidiva intorno al 27-40% di tutte le cistiti acute. La maggior parte delle cistiti ricorrenti si presentano entro i primi 3 mesi dallcistite e rapporti sessualia infezione primaria.

Il 60% delle cistiti batteriche croniche ricorrenti è rappresentato da cistiti post-coitali (cistiti dopo rapporto), cioè infezioni urinarie che compaiono 24-48 ore dopo un rapporto sessuale (che pensate?...non può essere un caso!!)

La cistite batterica cronica è considerata una “reinfezione” quando è provocata da un batterio diverso da quello che ha causato il precedente episodio; è considerata una "ricorrenza" quando è causata dallo stesso batterio ma dopo che ci sia stata un’urinocoltura negativa o un intervallo di tempo di almeno 2 settimane tra le due infezioni. E’ invece considerata una “persistenza” quando, nonostante l’effettuazione di una adeguata terapia, continua ad essere presente lo stesso batterio iniziale, in un tempo inferiore a 2 settimane. 

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CISTITE BATTERICA CRONICA: CHE SINTOMI POSSO AVERE?sintomi cistite cronica

I sintomi sono pressochè sovrapponibili a quelli della cistite acuta, ma spesso sono meno acuti e più persistenti.

  • Bisogno frequente e urgente di urinare
  • Sensazione di peso in vescica
  • Bruciore e/o dolore vescicale più o meno costante, che aumenta alla minzione
  • Bruciore e/o dolore uretrale
  • Minzioni notturne ripetute
  • Pollachiuria (cioè necessità di urinare più frequentemente del normale)
  • Rapporti sessuali dolorosi
  • A volte sangue nelle urine
  • A volte cattivo odore nelle urine
  • A volte febbre e dolore addominale

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LE CAUSE DELLA CISTITE BATTERICA CRONICA

I batteri uropatogeni che provocano la cistite fanno parte della flora fecale (vengono cioè dall'intestino). La normale flora batterica dell'area periuretrale, vulvare e perineale viene rimpiazzata da batteri uropatogeni a causa della contaminazione con la flora fecale provocata SOPRATTUTTO DAL RAPPORTO SESSUALE. Gli uropatogeni colonizzano la vagina e l’uretra distale e successivamente ascendono nella vescica e causano l’infezione. Il  meccanismo di propagazione è lo stesso, sia per le cistiti sporadiche che per quelle ricorrenti.

Il batterio più frequentemente coinvolto nella cistite cronica è l’Escherichia coli, che è responsabile di oltre l’80% di tutti episodi di cistite. 

Altri patogeni sono lo Staphylococcus saprophyticus, la Klebsiella pneumoniae e il Proteus mirabilis, responsabili di circa il 4% dei casi.

Quando l’infezione iniziale è caescherichiausata da E. coli, il rischio di reinfezione entro i 6 mesi successivi è molto alto. L’E. coli presenta infatti importanti fattori di virulenza che ne facilitano il legame e la penetrazione nell’epitelio della vescica e dell’uretra, incrementando la sua capacità di provocare la cistite: le fimbrie del batterio, che promuovono l’adesione alle mucose e alla matrice tissutale dell’ospite, la capsula, che ricopre e difende il batterio dalle difese immunitarie dell’ospite, il flagello, responsabile della motilità del batterio, che facilita il contatto di questo con le cellule epiteliali superficiali del tratto urinario, la produzione di alcune molecole adesive in grado di far aderire selettivamente il batterio ai recettori delle cellule epiteliali, la produzione di tossine, citochine ed altro.

Inoltre i recenti studi mostrano come l’ E. coli formi grandi serbatoi di batteri dormienti negli strati superficiali e profondi della parete vescicale che si radicano nei tessuti già dopo una prima infezione, racchiusi e protetti da una rete di matrice polimerica prodotta da loro stessi detta biofilm, Queste comunità di batteri, annidati dentro la matrice che aderisce alla superficie dell'urotelio, sono difficilmente aggredibili dai meccanismi immunitari dell’ospite e dalla terapia antibiotica e, riattivandosi regolarmente a seguito di eventi scatenanti, possono dar luogo a infezioni recidivanti.

l’Escherichia coli penetra nelle cellule dell'urotelio e forma i biofilm batterici; a seguito di un evento scatenante si moltiplica fino al punto da provocare la lisi cellulare e fuoriuscire in vescica (soprattutto durante un rapporto sessuale...RICORDATE LE CISTITI POST-COITALI!!); infetta nuovamente l’urina replicandosi e aumentando le sue colonie e provoca una ulteriore cistite. La causa prima della cistite cronica è una reinfezione che parte dall’interno del corpo stesso!

E’ però indubitabile che, sebbene nella maggior parte dei casi la cistite cronica sia preceduta da una infezione batterica acuta, l’infezione cronica non è legata alla sola presenza dei batteri nelle urine.

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LE DIFESE DELLA VESCICA: QUELLO CHE FUNZIONA BENE... 

Il sistema urinario ha molteplici meccanismi di difesa per mantenere le urine sterili e contrastare la colonizzazione batterica:

  • Il flusso urinario, che dirigendosi dalla vescica verso l’esterno lava via i microbi non adesi o poco adesi alla mucosa. Il rallentamento del flusso, l’aumento del residuo post-minzionale (tipicamente nel prolasso vescicale) l’incontinenza, sono fattori predisponenti l’infezione urinaria.
  • Il pH urinario acido, la presenza di sali, urea e sostanze acide nelle urine, che riducono la sopravvivenza batterica nel tratto urinario. Quando il pH urinario sale cala il potere protettivo.
  • La glicoproteina di Tamm-Horsfall che è presente nelle urine di un soggetto sano, chela gli antigeni dell’ E. Coli agendo sulle fimbrie e sulle proteine di adesione che vengono intrappolate, creando un complesso glicoproteina/batterio che viene eliminato con le urine.
  • L’aumentata recettività delle cellule uroteliali all’adesione batterica, che è geneticamente determinata. La secrezione di anticorpi nei fluidi corporei (IgA nella saliva, secreto uretrale o vaginale, ecc) ha un effetto protettivo verso le infezioni batteriche. Studi effettuati hanno mostrato che il 20% delle donne non secerne localmente questi anticorpi (chiamate "non secretrici") e pertanto  queste donne hanno un aumentato rischio di infezioni urinarie ricorrenti, soprattutto in post-menopausa.
  • urotelio - VESCICAIl rivestimento della mucosa vescicale. L’urotelio (lo strato interno della vescica) è rivestito da una sostanza protettiva mucinosa chiamata GAG (glucosamminoglicano). Il GAG ha una molteplicità di funzioni e si comporta sia come  barriera “fisica” che come fattore antiaderente e di difesa contro infezioni e agenti irritanti (es. alcool, peperoncino ecc.). Una diminuzione patologica del GAG provoca un assottigliamento o un “buco” nella barriera mucinosa dell’urotelio, con un indebolimento della sua funzione protettiva e un danneggiamento della sottostante parete vescicale. In questa situazione infatti, i batteri, presenti in vescica adesi in biofilms,  oltrepassano la barriera uroteliale, raggiungono lo spazio interstiziale, si annidano e diffondono l’infezione, provocando l’infiammazione cronica dei tessuti della vescica e l'irritazione dei muscoli vescicali, spasmo e dolore.
  • Il sigillo uretrale. Le varie strutture che compongono l’uretra, strato mucoso, sottomucoso e muscolare, sigillano il lume uretrale impedendo, da una parte, all'urina contenuta nella vescica di fuoriuscire, dall’altra, ai batteri proveniente dalla vulva e dal perineo di risalire e colonizzare le urine in vescica. Il rapporto sessuale, traumatizzando l’uretra e indebolendo questo meccanismo di chiusura, può creare una condizione favorente la colonizzazione batterica. Inoltre, il calo ormonale dato dalla menopausa, provoca la parziale atrofia di questi tessuti estrogenodipendenti indebolendo il sigillo.
  • Gli estrogeni, che favoriscono la colonizzazione vaginale e dell’uretra distale da parte di Lattobacilli che concorrono a mantenere un pH acido inibendo la crescita dei patogeni. Le donne in postmenopausa sono maggiormente suscettibili alle UTI in quanto, in carenza di estrogeni, gli uropatogeni aderiscono alle cellule epiteliali in maggior numero.
  • Il pH vaginale, che fisiologicamente acido aiuta a mantenere un normale ecosistema che si oppone alla colonizzazione batterica. Un pH di 5 o superiore è associato alla vaginosi batterica, vaginite e cistite.
  • Flora intestinale e cistiteLa flora intestinale. L’alterazione dell’equilibrio della flora batterica intestinale può provocare una crescita eccessiva di entrobatteriacee, batteri intestinali tra cui sono compresi gli uropatogeni, in particolare l’E. coli. Inoltre la stipsi è un altro fattore intestinale predisponente le infezioni urinarie ricorrenti.

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...E QUELLO  CHE NON FUNZIONA!

  • Il rapporto sessuale. Circa il 60% delle infezioni urinarie ricorrenti compaiono 1 o 2 giorni dopo il rapporto sessuale (cistite post-coitale). Il rischio di cistite aumenta di 3-4 volte il secondo giorno dopo il rapporto, sia nell’età fertile che in menopausa. Anche la frequenza dei rapporti sessuali è collegata al rischio di cistiti ricorrenti post-coitali. Il calo del desiderio sessuale, la mancanza di lubrificazione, la traumatizzazione dell’area periuretrale da parte del rapporto, attivano un processo di infiammazione locale che indebolisce le difese tissutali.
  • cause cistiteIl freddo! E noto che un improvviso cambiamento della temperatura ambientale (aria condizionata, bagni freddi ecc.) può precipitare la ricomparsa di una infezione urinaria.

 

COSA AUMENTA IL RISCHIO DI CISTITE RECIDIVANTE?

Esistono dei fattori di rischio associati alle cistiti croniche:

  • Precedenti cistiti acute
  • Alta frequenza di rapporti sessuali, alto numero di partners sessuali, uso di spermicidi,
  • Precoce età della prima infezione urinaria (inferiore a 15 anni)
  • Storia di cistite cronica nella madre
  • Storia di cistite nell'infanzia
  • Atrofia vaginale da carenza estrogenica
  • Incontinenza urinaria, prolasso vescicale e residuo urinario postminzionale.
  • Dismicrobismo intestinale
  • Alterazione delle difese immunitarie
  • Predisposizione genetica
  • Malattie metaboliche (diabete)

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LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE

Conseguenze cistiteIl danno prodotto dall’infiammazione cronica non è solamente localizzato a livello vescicale. La cronicizzazione dello stimolo algogeno (dolorifico) provoca a sua volta un abbassamento della soglia del dolore a livello cerebrale. Infatti, come risposta a questi segnali dolorosi che si ripetono continuamente, il cervello produrrà prima sintomi di ansia e poi via via, al permanere del dolore, di depressione. La donna percepisce questa malattia come una fragilità, un disagio, che le impedisce di vivere la sua vita pienamente, di programmare qualsiasi cosa nell’attesa angosciosa dello scatenamento dei sintomi. Anche la vita sentimentale spesso risente dell’impossibilità di vivere serenamente i rapporti sessuali (che scatenano il dolore). Ecco perché questo tipo di disturbi “inspiegabilmente” diminuisce fino a scomparire durante la notte, quando cala l’attenzione spasmodica ad essi rivolta, per aumentare invece quando la donna non è distratta da altri impegni importanti, tipicamente nei fine settimana. 

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CHE CURE PER LA CISTITE CRONICA?

Da tutto quanto esposto consegue la necessità di intervenire il più presto possibile sui primitivi fattori predisponenti prima che questi a loro volta generino ulteriore cronicizzazione. 

La terapia delle infezioni urinarie è complessa e spesso si protrae a lungo. Si basa sulla somministrazione di antibiotici, sulla prevenzione delle ricorrenze, sullo scioglimento dei biofilms batterici e soprattutto sulla ricolonizzazione di intestino, vagina e vescica con lattobacilli, i “bacilli buoni e protettivi”.

La terapia antibiotica mira a eradicare i batteri dalle urine e dai tessuti vescicali. A volte è necessario utilizzare terapie antibiotiche preventive a lungo termine e a basso dosaggio, per mantenere una bassa ma costante concentrazione di antibiotico nelle urine e contrastare la replicazione e l'aggressiva diffusione dei batteri che si liberano dai biofilms, soprattutto durante e dopo i rapporti sessuali.

Come abbiamo visto, però, gli uropatogeni possiedono questa grande capacità di adesione e penetrazione che li rende difficilmente attaccabili e li protegge dagli agenti antimicrobici. Gli antibiotici pertanto, a parte nella terapia d'attacco per la cistite acuta in cui i batteri sono liberi nelle urine o adesi solo superficialmente sull’urotelio, hanno poca efficacia sui batteri protetti dai biofilms intracellulari. 

Da qui la necessità di utilizzare alcuni integratori che, pur non avendo attività antibiotica, hanno dimostrato una spiccata capacità di legarsi alle fimbrie  dei batteri, intrappolandoli come in una rete da pesca e formando aggregati batterio/integratore che vengono eliminati con le urine ad ogni minzione. Inoltre si sono dimostrate efficaci anche sostanze che, grazie alla loro azione mucolitica e proteolitica, hanno mostrato la capacità di sciogliere i biofilms batterici.

Quando l'infezione cronica ha generato uno stato di infiammazione tessutale autoperpetuantesi e, accanto ai sintomi urinari tipici della cistite, compaiono spasmo dei muscoli perineali e iperalgesia, è necessario utilizzare una terapia per il dolore neuropatico.

TERAPIA ANTIBIOTICA

Terapia antibiotica e cistite

  • Terapia antibiotica preventiva low-dose di lunga durata

interessa sia le vie urinarie che il tratto intestinale e genitale. Gli effetti collaterali includono la comparsa di candidosi vaginale e orale, rush cutanei, nausea, sviluppo di antibioticoresistenza,  ma generalmente non compaiono sintomi gravi con nessun antibiotico.

  • Terapia antibiotica post-coitale preventiva 

La profilassi con antibiotico post-coitale si è dimostrata efficace nei casi in cui l'attività sessuale rappresenti il fattore scatenante l'infezione (quasi sempre!). La terapia consiste nell'assunzione di una singola dose a basso dosaggio di antibiotico  entro 2 ore dal rapporto sessuale.

PROTEZIONE E RIPARAZIONE DELLA MUCOSA VESCICALE

  • Terapia con acido ialuronico e condroitinsolfato

ricostituzione del GAG parietale con somministrazione di acido ialuronico e condroitinsolfato per istillazione endo-vescicale o per bocca. Questa sostanza aumenta e accelera il processo di riparazione dello strato mucinoso dell’urotelio formato dal GAGcistite, acido ialuronico e condroitinsolfato

RIDUZIONE DELLA TRASMISSIONE NERVOSA DELLO STIMOLO DOLOROSO

  • Amitriptilina.

I canali del sodio sono responsabili della conduzione dell’impulso lungo la fibra nervosa. Quando una fibra nervosa “si infiamma” i canali del sodio si moltiplicano a dismisura. L’amitriptilina blocca i canali del sodio “in eccesso” e ha sulla fibra nervosa un’attività anti-infiammatoria, rallentando, fino a bloccare, la trasmissione dell’impulso doloroso.

  • Palmitoiletanolamide.

Riduce l'iperattività del mastocita e modula il dolore neuropatico

TERAPIA CON RIMEDI NATURALI: GLI INTEGRATORI Rimedi naturali cistite

  • D - Mannosio.

E' uno zucchero semplice che viene estratto dalla corteccia del larice. Una volta assorbito, ha la caratteristica specifica di non essere utilizzato come nutrimento. I batteri ciliati (come Escherichia Coli ), incontrando le molecole di mannosio libero nell'urina, vi si legano grazie ai loro recettori e creano la forma complessa mannosio + patogeno, rimanendo intrappolati e venendo allontanati dalla vescica con la minzione.

  • Rimedi naturali cistiteMirtillo Rosso

Studi recenti hanno dimostrato che una alta concentrazione di estratto di mirtillo rosso riduce la produzione di ureasi, un enzima che facilita la diffusione dell’infezione e limita i movimenti dei batteri che colonizzano le urine. Il movimento è infatti un fattore chiave nella diffusione dell’infezione perchè i batteri “nuotano” nelle urine per diffondersi e sfuggire al sistema immunitario.

  • N-acetil-cisteina.

E' un integratore antiossidante, citoprotettore e mucolitico. Agisce sciogliendo la rete proteica del biofilms che intrappolano e nascondono i batteri all'interno della vescica.

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E POI..........

  • utilizzare una dieta priva di sostanze pro-infiammatorie e priva di nickel

  • lubrificare la vagina durante i rapporti

  • ricolonizzare la vagina con bacilli “buoni” (bacillo di Doderlain)

  • ricolonizzare e riequilibrare la flora intestinale con lattobacilli

  • proteggere della zona pelvica dal freddo

  • evitare l’uso di spermicidi

  • imparare a rilassare il pavimento pelvico

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LA VULVODINIA: UN INSOPPORTABILE DOLORE INTIMO FEMMINILE

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SE AVVERTI:

  • - bruciore vulvare (come di una sigaretta o di un acido corrosivo sulla vulva) che può arrivare all’ano o al clitoride e all'uretra,
  • - sensazione di calore anomalo
  • - irritazione, come se ci fosse una abrasione, sino ad arrivare alla presenza di microtagli o tagli veri e propri (soprattutto alla forchetta posteriore dopo i rapporti),
  • - sensazione di spilli che entrano nella mucosa,
  • - scariche elettriche o spasmi in vagina,
  • - sensazione di livido e indolenzimento
  • - bruciore uretrale,
  • - bruciori vulvari che vanno e vengono,
  • - fastidio o sensazioni anomale del clitoride
  • - impossibilità di avere i rapporti per il dolore alla penetrazione, all'ingresso della vagina in basso (forchetta), 
  • - sensazione di estrema secchezza, prurito, gonfiore o fastidio generalizzati,
  • - continua sensazione di irritazione in un punto della vulva, ma all'osservazione non si evidenzia mai nulla
  • - dolore che aumenta stando seduta, magari stando in macchina o davanti al computer a lungo

POTRESTI AVERE UNA VULVODINIA! 

(i sintomi su riportati sono stati estratti dall'anamnesi di migliaia di pazienti che presentano vulvodinia)

VEDI ANCHE VULVODINIA: LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA

La Vulvodinia  (o meglio la sindrome del dolore vulvare) è:

- un fastidio vulvare cronico,

- spesso descritto come bruciore,

- che si verifica in assenza di alterazioni clinicamente visibili e/o in assenza di uno specifico disordine neurologico,

- della durata superiore a 3 mesi,

- che può essere associato a fattori potenziali di sviluppo dei sintomi,

Può comparire spontaneamente o  provocato da stimoli leggeri e apparentemente innocui, che non giustificano il fastidio percepito dalla donna!

Sino a pochi anni fa la maggior parte dei medici ritenevano che la vulvodinia non fosse una malattia reale, ma un’alterazione di natura psicosomatica, correlata solo a stati di ansia e stress! Per questo motivo le pazienti si sentivano sminuite e incomprese ed erano riluttanti a parlare dei propri sintomi che venivano considerati solo frutto di fantasia. Ancora oggi non viene diagnosticata in molte donne se non molto tardivamente…


I TERRIBILI SINTOMI DELLA VULVODINIA

Nella Vulvodinia i sintomi (dolore, bruciore cronico, sensazione di spilli, scariche elettriche, dolore puntorio, indolenzimento come un livido ecc.) durano da più di tre mesi,  possono comparire spontaneamente senza nessuna causa apparente, oppure al minimo sfioramento, inserendo un tampone vaginale, facendo jogging, andando in bicicletta o semplicemente camminando. La biancheria intima sembra una tortura e la paziente non vede l'ora di tornare a casa per togliersi tutto. A volte la donna non riesce neanche a stare seduta e ha sollievo solo stando distesa a letto, al caldo, a gambe divaricate e senza indumenti. Molto spesso questi sintomi simulano una infezione da candida, ma anche dopo ripetute e lunghe terapie antimicotiche i disturbi non scompaiono.

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I fastidi possono essere altalenanti nella settimana, andare e venire senza motivo, prima durante o dopo la mestruazione, con il freddo, l’umido e in periodi di maggiore stress psicologico, addirittura variare durante la giornata tendendo a peggiorare la sera.

il prurito non e’ un sintomo della vulvodinia

Ma la notte...quasi magicamente...i sintomi si acquietano!

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Il rapporto sessuale è dolorosissimo per la donna affetta da vulvodinia!

La paziente ha la sensazione che la vagina si troppo stretta per il rapporto, che ci sia un blocco, uno scalino doloroso da superare. A volte, dopo una difficoltosa penetrazione, il rapporto può essere portato a termine, ma il risultato è spesso la comparsa di abrasioni e tagli sulla zona vulvare che durano giorni e giorni. Frequentemente, dopo i rapporti, compare gonfiore, disuria (difficoltà a urinare) e bruciore urinario senza l’evidenza clinica e microbiologica di una cistite batterica.

Nella dispareunia superficiale da vulvodinia, la particolare intensità dei sintomi, il coinvolgimento della vita affettiva e sessuale, l’alterazione globale della qualità della vita possono condurre la donna con vulvodinia a forti stati di ansia e depressione.

vedi anche: come capisco se ho la vulvodinia?

LA VULVA

La vulva è la parte esterna dell’organo genitale femminile. E' il centro della risposta sessuale femminile. E’ composta da più parti che comprendono:

  1. il monte di Venere,
  2. le grandi labbra,
  3. le piccole labbra,
  4. il clitoride,
  5. il vestibolo,
  6. il meato uretrale esterno
  7. l’introito (ingresso) vaginale.

VEDI ANCHE ANATOMIA E INNERVAZIONE DELLA VULVA E DEL PAVIMENTO PELVICO

COME SI MANIFESTANO I SINTOMI DELLA VULVODINIA

In base alla zona in cui vengono avvertiti i sintomi la vulvodinia può essere definita come localizzata o generalizzata.

Vulvodinia localizzata

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E' la forma più frequente e tipica delle donne più giovani. Prende il nome dalla zona in cui è presente il dolore (vestibolodinia, clitoridodinia ecc.). Il dolore vulvare è localizzato nella maggior parte dei casi nel vestibolo (vestibolodinia) cioè la zona che circonda l’apertura della vagina e va dall'imene alle piccole labbra (entro la linea di Hart), che può essere sede di eritema di vario grado. Il fastidio è rappresentato spesso da una sensazione di bruciore e compare dopo uno sfregamento o una pressione, come durante il rapporto sessuale. Anche in questa forma il dolore può essere costante o saltuario, scatenato da un leggero stimolo o più raramente spontaneo.

Vulvodinia generalizzata.

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In questi casi i sintomi sono presenti in tutta la vulva (possono essere localizzati in qualsiasi area innervata dal nervo pudendo). Il dolore vulvare può essere costante o saltuario, spontaneo o scatenato da un leggero stimolo come uno sfioramento o una pressione. A volte il bruciore vulvare interessa la cute perineale e si accompagna a disturbi rettali, uretrali e spasmo dei muscoli del pavimento pelvico. Spesso non sono presenti segni di eritema (arrossamento). E' più frequente in perimenopausa e rappresenta circa il 20% di tutte le vulvodinie. Può essere provocata ma più frequentemente è spontanea.

La vulvodinia può essere primaria...

i sintomi si manifestano fin dai primi episodi di penetrazione
vaginale
(in concomitanza con l’inizio dell'attività sessuale o con l’utilizzo di assorbenti interni).

oppure può essere secondaria...

i sintomi si presentano successivamente ad un evento (la paziente ricorda un periodo della sua vita senza vulvodinia). La donna può iniziare a provare disagio o modesto dolore all’introito vaginale solo ad un certo punto della sua vita, in occasione di visite ginecologiche, o di rapporti sessuali più intensi, o in periodi di forte stress; successivamente nel tempo può sviluppare episodi di bruciore vestibolare non provocato, fino ad arrivare eventualmente ad una condizione di vulvodinia generalizzata, spontanea, quotidiana.

vedi anche classificazione della vulvodinia

I FATTORI POTENZIALI ASSOCIATI ALLA VULVODINIA

La Vulvodinia è una sindrome dolorosa complessa, che si manifesta con sintomi molto vari e i medici ancora non hanno la certezza di quali siano le cause esatte.

La ricerca ha mostrato che alcuni fattori possono potenzialmente essere associati allo sviluppo e al mantenimento di questa condizione clinica. Per tale motivo la vulvodinia è inquadrata come una malattia multifattoriale. Le evidenze accumulate finora rendono verosimile l’ipotesi che si instauri una cascata di eventi che portano al manifestarsi della patologia.

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DAL SINTOMO ALLA MALATTIA: IL DOLORE

Il dolore è un fenomeno fisiologico con una funzione protettiva e positiva quando è espressione di una corretta risposta adattativa del sistema nervoso che evita o limita un danno tessutale (metto un dito sul fuoco, sento dolore, quindi allontano il dito dal fuoco!). Questo è il dolore nocicettivo, che è causato dall'attivazione dei nocicettori diffusi nel corpo, (recettori termici, di pressione, chimici) i quali rilevano stimoli nocivi che hanno il potenziale di causare danno ai tessuti. 

Il dolore è un fenomeno patologico e dannoso quando è espressione di un’alterata risposta adattativa del sistema nervoso, in assenza di un reale problema tissutale scatenante. Questo è il dolore neuropatico, che è causato da un danno dei neuroni del sistema nervoso coinvolti nella percezione del dolore , senza la presenza effettiva di un danno tessutale. Provoca l'anormale percezione di stimoli che non sarebbero dolorosi ma che vengono "avvertiti" come dolorosi. Il dolore neuropatico è persistente ed è esso stesso una malattia.

Il dolore neuropatico caratteristico della vulvodinia è il risultato finale di una sommatoria di fattori sequenziali che, alterando le terminazioni nervose vulvari, provocano una modificazione della percezione normale trasformandola in dolorosa.

Il dolore neuropatico nell'ipersensibilità vulvare viene descritto come:
Iperalgesia in cui lievi stimoli dolorosi vengono percepiti come dolore di forte intensità
Allodinia in cui stimoli normalmente non in grado di provocare sensazioni dolorose vengono percepiti come dolorosi (ad esempio stimoli tattili).

Recentemente l' Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha coniato per questo tipo di affezioni il termine di "dolore
nociplastico",
definito come «un dolore con alterata nocicezione senza chiara evidenza di danno tissutale o malattia del sistema nervoso
somatosensoriale». Questa definizione enfatizza l'importanza della sensibilizzazione del sistema nervoso centrale che risponde al dolore cronico aumentandone la percezione.

IL DOLORE NELLA VULVODINIA

Le condizioni cliniche caratterizzate da dolore vulvare vengono distinte clinicamente in due gruppi principali:

  • - il dolore vulvare che compare senza alcuna causa clinica identificabile, che può essere definito VULVODINIA
  • - Il dolore vulvare causato da un disordine specifico, che non rientra in una diagnosi di vulvodinia in quanto ne sono individuabili le cause organiche specifiche.
    • - infettive (vulvovaginiti batteriche, micotiche, herpes..)  
    • - infiammatorie (dermatosi come lichen..)  
    • - neoplastiche
    • - neurologiche (nevralgia posterpetica, compressioni o lesioni del nervo..)
    • - iatrogene (interventi chirurgici..)
    • - da deficit ormonali (la menopausa..)

L'INFIAMMAZIONE NELLA GENESI DELLA VULVODINIA

La vulvodinia è una patologia complessa, in grado di compromettere seriamente la qualità della vita della donna, la cui eziologia, ovvero le cui cause, non sono ancora completamente chiarite,

Numerosi studi indicano come l’infiammazione sia l’elemento principale per l’insorgenza del dolore neuropatico della vulvodinia. Una condizione di infiammazione cronica sarebbe in grado creare un danno delle fibre nervose vulvari innescando il dolore neuropatico che porterebbe a una alterata percezione degli stimoli e al perpetuarsi della sintomatologia dolorosa anche quando la causa originaria non agisce più.

L'infiammazione ripetuta e persistente può essere causata da condizioni varie, ad esempio rapporti sessuali dolorosi che provocano microtraumi del vestibolo, cistiti recidivanti, vaginiti recidivanti soprattutto da candida, ipertono del pavimento pelvico, irritazioni meccaniche come sfregamenti, microtraumi ripetuti da attività sportiva troppo intensa tipo spinning step e bicicletta, trattamenti terapeutici invasivi, stipsi cronica, emorroidi e ragadi anali, interventi ginecologici come episiotomia, irritazioni da sostanze chimiche.

l'infiammazione ha come agente principale la cellula immunitaria chiamata mastocita. I mastociti producono in grande quantità sostanze infiammatorie e sostanze neurotrofiche, molecole che inducono la crescita delle fibre nervose periferiche.

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Secondo la teoria patogenetica più recente della vulvodinia, l'eccessiva attivazione dei mastociti causato dall'infiammazione cronica provocherebbe un alterato accrescimento delle piccole fibre nervose periferiche del nervo pudendo, rendendo queste fibre più dense, più superficiali e ipersensibili. Questo sarebbe il meccanismo responsabile dell'iperalgesia e dell'allodinia che la paziente avverte a livello vulvare. L'iperattivazione dei mastociti a sua volta incrementerebbe il  processo infiammatorio in un circolo vizioso senza via di uscita. L'infiammazione nel tempo si svincolerebbe dalla causa che l’ha generata continuando ad agire anche ormai in assenza della patologia iniziale.

IL RUOLO DEL PAVIMENTO PELVICO NELLA VULVODINIA

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Le evidenze scientifiche concordano nel descrivere la vulvodinia come una sindrome le cui principali caratteristiche sono: ipersensibilità vulvare e disfunzione ipertonica del pavimento pelvico.

Le ricerche riportano la presenza di un'aumentata attività del pavimento pelvico nell'80% - 90% delle pazienti con vulvodinia. Viene definito ipertono o iperattività del pavimento pelvico l'aumentata attività del muscolo elevatore dell’ano (il piano muscolare  che sorregge e circonda su 3 lati la vagina, la vulva e il retto),
L'iperattività muscolare è infatti correlata all’intensità della sintomatologia della vulvodinia.
Studi elettromiografici condotti sul pavimento pelvico di pazienti con vulvodinia evidenziano vari tipi di disfunzioni muscolari, principalmente l' ipertono del pavimento pelvico, secondariamente la diminuita capacità contrattile e lo scarso controllo volontario della muscolatura. E' da sottolineare che nella maggior parte dei casi le pazienti non sono consapevoli della propria disfunzione muscolare.

I sintomi minzionali che si manifestano nella vulvodinia quali la difficoltà a iniziare la minzione, la difficoltà a svuotare completamente la vescica, l'urgenza e la frequenza continue, sarebbero causati dall'ipertono del pavimento pelvico.

È ancora oggetto di discussione se la disfunzione muscolare possa essere un fattore predisponente, preesistente alla comparsa del dolore vulvare, o un fattore secondario, successivo allo stato infiammatorio cronico e conseguente al dolore da vulvodinia.

L’ipertono del pavimento pelvico infatti può agire come fattore di predisposizione in due modi:

  • - lo stato cronico di contrattura, attraverso una vasocostrizione prolungata, determina una riduzione del flusso di sangue/ossigeno e nutrienti a livello dei tessuti con conseguente ischemia, liberazione di sostanze pro infiammatorie che causano iperproliferazione delle fibre nervose locali, sintomi dolorosi e comparsa di trigger points dolorosi.
  • - la contrattura, provocando il restringimento dell’introito vaginale, lo sottopone a maggiore trazione durante i rapporti causando frequenti microtraumatismi e conseguenti infiammazioni

Ma l’ipertono del pavimento pelvico potrebbe anche essere una conseguenza del dolore vulvare a causa della contrazione muscolare che la donna metterebbe in atto come reazione di difesa al dolore.

LA DIAGNOSI

La visita ginecologica deve essere mirata a far emergere le alterazioni specifiche presenti nella vulvodinia:

  • - una raccolta completa dell’anamnesi che comprenda tutta la storia clinica della paziente,
  • - un esame obiettivo con la mappatura delle zone dolorose che escluda lesioni presenti riferibili ad altre patologie o infezioni,
  • - un esame della muscolatura del pavimento pelvico con la valutazione delle alterazioni della funzionalità, alterazioni della coordinazione con altri gruppi muscolari, e presenza di trigger/tender points.
  • - lo swab test (test dell’ipersensibilità alla pressione effettuata con l’apice di un cotton fioc - test di Friederich).

Nel sospetto di vulvodinia è importante escludere la presenza di infezioni vulvovaginali clinicamente significative, cistiti e vaginiti, dermatiti e dermatosi, patologie neoplastiche e altre patologie neurologiche.

SWAB TEST

swab test vulvodinia
test del cotton fiock per valutare il dolore vulvare

Si effettua toccando delicatamente alcuni specifici punti della zona vestibolare con la punta di un cotton fiock (Test di Friedrich). Questi contatti provocano una sensazione di dolore o bruciore vulvare esagerati in presenza di una mucosa rosea e senza lesioni. Questo test è importante anche per la valutazione del dolore nel tempo, in controlli successivi. 

vedi anche il questionario di valutazione della vulvodinia

PERCHE' E’ IMPORTANTE FARE LA DIAGNOSI IL PRIMA POSSIBILE?

Non potete immaginare quante donne abbiano sintomi da vulvodinia senza saperne il perchè! E nessuno ha spiegato loro il motivo di tutti i disturbi che avvertono...spesso la ricerca delle cause procede a tentoni, senza una direzione logica, provando farmaci in modo fortuito nel sempre maggiore scoraggiamento della paziente

La ricerca ci dice che la vulvodinia colpisce fino al 16% delle donne, anche se la percentuale potrebbe essere sottostimata. Gli studi scientifici affermano che l’età di insorgenza è giovanile, usualmente nella terza e quarta decade della vita.

In realtà ho potuto effettuare la diagnosi di vulvodinia in donne che avevano dai 12 ai 80 anni! Con i sintomi più vari e insidiosi che può interpretare solo chi conosce bene questa patologia.

IMPORTANTE E' LA TEMPESTIVITA'  DELLA  DIAGNO, PERCHE' CON IL TRASCORRERE DEL TEMPO E' PIU' DIFFICILE E PIU' LUNGO IL PERCORSO PER CANCELLARE LA MEMORIA DEL DOLORE

GUARIRO’ MAI?

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Si, guarire è possibile. Ci vuole molta forza, costanza, determinazione e….. un buon medico!

La terapia è multimodale, poichè deve correggere tutti i meccanismi patogenetici coinvolti che hanno scatenato i sintomi.  Non esiste quindi un protocollo standard  per curare la vulvodinia, è un percorso terapeutico non breve e le cure vanno personalizzate e verificate con un feedback continuo tra medico e paziente.

La terapia mira a ridurre l’iperattività del mastocita, a modulare l'eccessiva risposta al dolore, a rilassare i muscoli del pavimento pelvico, a curare le disfunzioni psicologiche della sindrome dolorosa, a rimuovere le patologie che possano avere innescato il meccanismo infiammatorio iniziale e a riportare la paziente a una condizione fisica, emotiva e psicologica di benessere.

I presidi terapeutici più importanti sono:

Eliminare ogni fattore potenzialmente irritante che possa causare bruciore vulvare (prevenire vaginiti e cistiti, evitare step, spinning, bicicletta, interrompere momentaneamente i rapporti ecc.)

Consigliare adeguate norme igienico-comportamentali (evitare pantaloni stretti, biancheria sintetica, perizoma ecc.). Può essere consigliata una biancheria in maglina di seta naturale medicata che ha una azione antiinfiammatoria e antimicotica/antibatterica.

Usare sempre un lubrificante durante i rapporti

Usare farmaci che riducano l'iperattività del mastocita (Palmitoiletanolamide,  acido alfa-Lipoico, acidi omega3, antiinfiammatori naturali, gel antiinfiammatori locali)

Utilizzare farmaci che desensibilizzino le vie nervose del dolore:

  • Antidepressivi Triciclici (es.amitriptilina)
  • Anticonvulsivanti (es.gabapentina)
  • Antidepressivi SSNRI (es. duloxetina, venflaxina)
  • Cannabidiolo

Farmaci miorilassanti antispastici ad azione centrale (es. Baclofene)

Rieducazione perineale: cognitivizzazione del pavimento pelvico, terapia manuale e mobilizzazione dei tessuti con tecniche di stretching, trattamento dei trigger points dolorosi sec. il protocollo di Standford, respirazione diaframmatica, eliminazione di contrazioni agoniste e antagoniste, automatizzazione della corretta attività muscolare perineale,

BIOFEEDBACK

TECAR TERAPIA del pavimento pelvico

ELETTROSTIMOLAZIONE ANTALGICA (TENS)

RADIOFREQUENZA

TTNS (Stimolazione transcutanea del nervo tibiale posteriore)

Infiltrazioni sottomucose vestibolari di cortisonici+anestetici locali

Tecniche di blocco del Nervo Pudendo 

Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale con EMDR 

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INTERNATIONAL SOCIETY FOR STUDY OF VULVOVAGINAL DESEASE https://www.issvd.org/

NATIONAL VULVODYNIA ASSOTIATION https://www.nva.org/

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E’ CANDIDA………MA NON INNOCUA! Ovvero, come fronteggiare gli attacchi di un fungo.

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Care amiche, ho ricevuto recentemente molte mail di ragazze che mi chiedono come fare a guarire da infezioni di candida recidivante......

 Flora microbica

La prima cosa da sapere è che la candida è un fungo saprofita abituale della nostra vagina. Cosa vuol dire saprofita? Vuol dire che la candida è un normale ospite della vagina e che è assolutamente normale che in vagina ce ne sia una certa quantità.

Non è possibile quindi eradicarla completamente e per sempre..... e non ce n’è neanche bisogno!

Perché, se la candida rimane in piccola concentrazione ed è in equilibrio con l’ecosistema vaginale, non provoca alcun fastidio, ma rimane parte, come commensacandida e vaginitele, della normale flora vaginale che è costituita prevalentemente da lattobacilli. 

Spesso però la situazione muta e si altera a causa di eventi esterni, i lattobacilli diminuiscono e si crea una situazione di calo delle difese immunitarie; allora i microrganismi patogeni aumentano di numero, prendono il sopravvento  e colonizzano tutta la vagina cominciando a dare sintomi, ovvero a dare vaginiti.

La candida è uno dei microrganismi che danno più frequentemente vaginite.

Quali sono i sintomi della vaginite da candida?

Il sintomo più tipico è il prurito, interno ed esterno, che può diventare veramente forte e imbarazzante.

rimedi candidaLa donna si lava frequentemente sperando di alleviare il prurito, ma questo non passa. Alcune arrivano a mettere del ghiaccio sulla vulva per diminuire questa sensazione fastidiosa! Bene, non fatelo mai, perché questo sì che provoca dei danni, delle ustioni da gelo, e una ulteriore irritazione.

Vagina con leucorrea a tipo "grumi di ricotta"
Vagina con leucorrea a tipo "grumi di ricotta"

La zona intima si infiamma e compaiono il rossore, il bruciore e le perdite biancastre, a grumi, tipo ricotta.

Spesso gli stessi sintomi vengono anche al partner! Infatti quest'ultimo può essere contagiato col rapporto sessuale e avere anche lui prurito, rossori diffusi, macchiette rosse e spellature a livello del glande.

Che cosa è successo dunque?

Il fungo, viracause candidato in una situazione di aggressività che gli viene consentita dalle mutate condizioni ambientali, diventa patogeno e si trasforma da lievito commensale (di forma ovoidale) in pseudo ifa o ifa  (con forma di filamento sottile) e produce enzimi che gli conferiscono una particolare adesività alla mucosa vaginale e sostanze che provocano irritazione. La mucosa viene invasa dalla candida e compare una intensa risposta immunitaria che si manifesta col rossore e bruciore.

Biofilm di Candida
Biofilm di Candida

Inoltre la candida, come altri microrganismi, ha la capacità di organizzarsi in biofilms, che sono costituiti da un materiale denso (slime) a matrice polisaccaridica prodotto dallo stesso fungo, in cui la candida si annida e prolifica, adesa alle mucose, protetta e inattaccabile dalle terapie e dalle difese immunitarie dell’ospite.

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L’assunzione di antibiotici per via sistemica (per bocca) è la causa più frequente di vaginite da candida antibiotico e candida

Ad esempio, abbiamo preso un ciclo di antibiotici per una infezione ai denti. L’antibiotico agisce ovviamente eliminando tutti i batteri che sono nel cavo orale (questo è l’effetto che volevamo ottenere quando abbiamo cominciato la terapia!). Ma al contempo elimina anche i batteri che sono in tutto il corpo, anche quelli buoni, per cui anche i lattobacilli intestinali e vaginali. 

Vaginite da Candida
Vaginite da Candida (particolare)

La candida invece no!

La candida non risponde e non viene attaccata dalle terapie antibiotiche, ma a questo punto, essendo stati uccisi tutti i competitors nell’ecosistema vaginale, dilaga e si prende quegli spazi che prima erano proprietà dei batteri buoni, provocando la vaginite. In corso di terapia antibiotica pertanto è consigliabile effettuare una cura per prevenire la candida. 

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Che altro può causare la vaginite da candida?

cause candida: rapporti sessualiLa candida può essere causata anche da attività che provocano irritazione della zona vulvare, come spinning e bicicletta, jeans stretti, salvaslip e indumenti sintetici (i famosi perizomi!), che danno sfregamento nelle zone intime delicate.

Il rapporto sessuale può essere una causa di vaginite da candida, sia per contagio diretto da parte del partner, sia soprattutto per le microabrasioni che a volte il rapporto può provocare all’ingresso vaginale, che induce un indebolimento delle difese locali.

cause candida: zuccheriUna alimentazione troppo ricca di lieviti, latticini e zuccheri può alterare il ph vaginale e la concentrazioni degli zuccheri in vagina, e diventare causa predisponente, come pure lo stress intenso e il calo delle difese immunitarie. Inoltre gravidanza e pillola anticoncezionale, che danno un aumento dei livelli plasmatici di estrogeni, possono predisporre alla candida.

rimedi candida

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Come possiamo correre ai ripari quindi?

Intanto facciamo la diagnosi corretta, perché spesso le vaginiti possono essere causate da altri tipi di microorganismi o da più tipi di germi.  le terapie contro la candida non sono efficaci per i batteri, e vice versa!

Per cui andiamo dalla ginecologa e lasciamole fare la diagnosi, che a volte può essere semplice, ma a volte ha bisogno di approfondimenti diagnostici:

Striscio Batterioscopico
Striscio Batterioscopico

    • striscio batterioscopico a fresco (per evidenziare i lieviti in gemmazione o le pseudoife),

  • valutazione del ph vaginale (perché la candida prolifica in ambiente acido mentre i batteri in ambiente basico),

  • tamponi vaginali appropriati (benchè possano risultare negativi anche se la candida è presente!).

Lichen Scleroatrofico Vulvare
Lichen Scleroatrofico Vulvare

Ma soprattutto sarà necessario fare la diagnosi differenziale con altre patologie non infettive che possono presentare alcuni aspetti in comune con la vaginite da candida, come la vulvodinia e il lichen sclero-atrofico (attenzione al prurito e al bruciore che persistono a lungo nonostante le terapie effettuate per debellare la candida!!).

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terapia candida sporadica

CHE TERAPIA?

Per la candida sporadica La terapia potrà essere semplicemente vaginale, con l’applicazione di ovuli (che di solito hanno una maggiore concentrazione del principio terapeutico rispetto alle creme) o creme antimicotiche (derivati azolici: econazolo, miconazolo, sertaconazolo, fenticonazolo ecc.) che in genere risolvono la situazione.

Una terapia interessante, ed efficace anche nella candida resistente agli azolici, è l’applicazione giornaliera, per almeno una settimana, di lipogel a base di acido borico, betaglucano e lattoferrina, che ha un’azione micostatica, lenitiva e immunostimolante. Molte sono le terapie alternative a base di prodotti naturali proposte, come i semi di pompelmo, il tea tree oil, la calendula, l'acido caprilico (per la candida intestinale) ecc.

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La situazione si complica quando la candida diventa recidivante.

Quando la candida comincia a tornare e ritornare, i sintomi non sono più così netti e riconoscibili, diventano più simili a quelli delle vaginiti batteriche, il prurito può essere presente ma spesso compare più bruciore, le perdite possono essere scarse, più omogenee e perdere l’aspetto tipico "a ricotta". I rapporti sono generalmente molto dolorosi, c’è come un senso di secchezza, di qualcosa che si strappa durante la penetrazione….

Anche qui la diagnosi è fondamentale.

E poi che fare?

A questo punto la sola terapia vaginale non basta (anche se a mio avviso rimane comunque un pilastro della terapia della candida ricorrente!).

La terapia sistemica (ossia per bocca) ha un ruolo importante nella prevenzione delle recidive e inoltre ha lo scopo di bonificare anche gli eventuali foci presenti nell’intestino.

terapia farmacologica candidaSul bugiardino di alcuni farmaci troverete che la posologia consigliata per la terapia della candidosi complicata è una sola compressa di fluconazolo per bocca. Purtroppo ormai non è quasi mai così, perché attualmente la candida, come altri batteri, ha sviluppato una notevole resistenza alle terapie convenzionali utilizzate da molto tempo, e una terapia breve difficilmente sortisce effetto neccessario. In più, alcune specie di candida come C. krusei, C. glabrata e C. lusitaniae hanno una resistenza innata o acquisita agli azoli ed altri antifungini. 

Fluconazolo
Fluconazolo

Per cui, per la cura della candida recidivante spesso è necessario "andarci giù un po’ pesanti”, utilizzando farmaci sistemici a lungo, con richiami settimanali anche per mesi.

La terapia di prima scelta è il Fluconazolo somministrato giornalmente in compresse di 100, 150 o 200 mg. 

Gli schemi posologici possono variare molto, iniziando con una somministrazione di attacco di una compressa per 10 gg, e poi proseguendo con singole somministrazioni settimanali, per 3/6 mesi.

Come seconda scelta si può usare l’itriconazolo compresse da 100 mg,  2 compresse al dì, a stomaco pieno perché si assorbe meglio, per 3 giorni ogni 15 giorni per 3/6 mesi.

Acetilcisteina
Acetilcisteina

E’ utile anche l’assunzione di sostanze ad azione mucolitica per sciogliere i biofims micotici che sono adesi alla mucosa vaginale e che sono in parte causa della ricorrenza dell’infezione. 

Nel caso in cui sia evidente che la causa scatenante della candida ricorrente è il rapporto sessuale, con un nesso di causa ed effetto, può essere una scelta terapeutica ragionevole l’applicazione in vagina di una o due dosi di crema a base di acido borico dopo il rapporto. 

Ma soprattutto è necessario andare a ricostruire, con la somministrazione protratta nel tempo di probiotici e lattobacilli, quell’ecosistema vaginale e intestinale che, essendo alterati, hanno permesso l’instaurarsi di una micosi recidivante. 
yogurt e candidaUna curiosità: molte donne utilizzano in vagina yogurt bianco senza zucchero per ripristinare la flora batterica lattobacillare.

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COSA SUCCEDE QUANDO ARRIVA IL MOMENTO DEL PARTO?

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settimane di gravidanza

Quando arrivi alla fine della gravidanza una delle tue principali preoccupazioni è: come sarà il mio parto? Come farò a capire che sta iniziando?

Molte donne sperimentano dei chiari e comprensibili sintomi all’inizio del travaglio di parto, mentre altre sono in uno stato molto più confuso. Nessuno sa chiaramente che cosa fa iniziare il meccanismo del parto o quando, ma la comparsa di alcuni cambiamenti fisici può indicare che il parto sta arrivando. Questi segni sono rappresentati da:

  • L’impegno della testa fetale
  • La perdita del tappo mucoso
  • Le contrazioni uterine
  • L’appianamento e dilatazione del collo uterino
  • La rottura delle acque

L’IMPEGNO DELLA TESTA FETALEparto naturale

Il processo mediante il quale il bambino si insinua e si spinge all’interno della tua pelvi prima del parto si chiama IMPEGNO. L’impegno della testa fetale può avvenire alcune settimane prima del parto oppure poche ore prima. Poiché durante l’impegno della testa del bambino l’utero spinge sulla vescica, puoi avvertire più frequentemente il bisogno di urinare e puoi sentire un peso molto in basso nella vagina.

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LA PERDITA DEL TAPPO MUCOSO

Il tappo mucoso è un accumulo di muco denso che si forma nel canale cervicale (nel collo dell'utero) durante la gravidanza. Quando il collo uterino (cervice) comincia ad allargarsi il muco viene spinto in vagina e tu vedrai fuoriuscire delle perdite gelatinose e capirai che il collo uterino ha cominciato a dilatarsi. I’aspetto del tappo mucoso può essere chiaro, rosa o leggermente striato di sangue. Il parto può iniziare subito dopo la perdita del tappo mucoso oppure 1-2 settimane più tardi.

data partoLE CONTRAZIONI UTERINE

Le contrazioni uterine servono a dilatare la cervice e spingere il bambino all’esterno fuori dall’utero. Durante le contrazioni uterine l’addome diventa duro, mentre fra una contrazione e l’altra, poichè l’utero si rilassa, l’addome ritorna morbido. La contrazione viene percepita in modo molto diverso da ciascuna donna e anche diversamente da un parto all’altro. Generalmente però le contrazioni da parto generano un dolore sordo e fastidioso nella regione lombare e nel basso addome, con un aumento della pressione nella pelvi. Le contrazioni hanno una andamento a “onda”, dalla parte alta dell’utero sino alla parte bassa. Molte donne descrivono le contrazioni come una sorta di crampo mestruale forte.

Qual’e’ la differenza fra vero e falso travaglio? Prima che il vero travaglio cominci tu puoi avere dei “falsi dolori” da travaglio. Questi dolori data presunta partosono provocati da contrazioni chiamate ”di Braxton Hicks”. Queste contrazioni uterine irregolari sono perfettamente normali, sono preparatorie al vero travaglio, e possono comparire dal secondo trimestre, sebbene siano più comuni nel terzo trimestre di gravidanza. Le contrazioni di Braxton Hicks possono essere descritte come un irrigidimento della zona addominale che va e viene. Non sono ravvicinate, non aumentano camminando, la loro durata e il dolore non aumentano con il passare del tempo, a differenza delle vere contrazioni del travaglio di parto.

Come faccio a capire quando arriva il vero travaglio? Per capire se sta arrivando il vero travaglio chiediti alcune cose: Quanto spesso vengono le contrazioni?  Cambiano con il movimento? Quanto sono forti? Dove senti dolore?

Nel falso travaglio le contrazioni sono spesso irregolari e non sono ravvicinate, possono fermarsi quando cammini, riposi, o quando cambi posizione, sono generalmente deboli e non diventano più forti col passare del tempo. Oppure possono essere più forti all’inizio e poi diventare più deboli. Le contrazioni vengono generalmente avvertite nella zona addominale anteriore o nella zona pelvica.

Nel vero travaglio le contrazioni vengono a intervalli irregolari e durano circa 30-70 secondi. Con il passare del tempo divengono più ravvicinate, continuano anche se ti muovi e cambi posizione, generalmente iniziano nella zona lombare bassa e si irradiano verso la parete addominale anteriore.

travaglioCOS’E’ L’APPIANAMENTO E LA DILATAZIONE DELLA CERVICE?

Durante il travaglio di parto la tua cervice diventa sempre più sottile e sempre più corta, stirandosi e aprendosi intorno alla testa del bambino, come un imbuto. L’accorciamento e assottigliamento  è detto APPIANAMENTO, ed è misurato in percentuale, da 0% a 100%. Quando la cervice ha uno spessore dimezzato il suo appianamento è del 50%. Quando è completamente assottigliata è del 100%. Già settimane prima del travaglio il ginecologo ti può comunicare che è presente un iniziale appianamento del collo uterino. Questo meccanismo è preparatorio al travaglio e generalmente è causato dalle contrazioni di Brackston Hicks di cui abbiamo parlato. Lo stiramento e l’apertura della tua cervice è detta DILATAZIONE ed è misurata in centimetri; la dilatazione è completa a 10 cm. L’appianamento e la dilatazione sono l’effetto diretto di valide contrazioni uterine sulla cervice. I’andamento del travaglio è misurato dal progressivo appianamento e dalla dilatazione della cervice che permetteranno il passaggio del bambino nella vagina.

COSA SUCCEDE SE MI SI ROMPONO LE ACQUE?

Quando si rompono le membrane amniotiche (il sacco pieno di liquido che circonda il bambino in gravidanza) puoi avere la sensazione di una improvviso fiotto di liquido che esce rapidamente dalla vagina o di uno sgocciolio di liquido che scivola sulle gambe. Questo liquido è generalmente privo di odore e può essere chiaro o leggermente giallino. Se si rompono le acque ti consiglio di scrivere l’orario della rottura, quanto liquido è uscito, che tipo di liquido è, e poi chiamare il tuo ginecologo. Sebbene il travaglio possa non partire immediatamente dopo la rottura, il parto avverrà entro 24 ore. Infine ricorda che non tutte le donne hanno la rottura spontanea delle acque durante l'inizio del travaglio. In molti casi sarà il ginecologo a rompere le membrane quando sarai già ricoverata in ospedale, a travaglio avanzato .

COME FACCIO A CAPIRE QUANDO DEVO ANDARE IN OSPEDALE?

Quando pensi che il tuo “vero” travaglio sia iniziato comincia a controllare la durata delle contrazioni. Le contrazioni iniziano lievi, non molto dolorose, generalmente partono ogni 15 – 20 minuti e durano da 60 a 90 secondi. Poi le contrazioni diventano più regolari sino ad avere un intervallo di 5 minuti. Tu dovresti andare all’ospedale quando hai contrazioni forti, che durano 45 – 50 secondi e partono ogni 4 – 5 minuti.

COSA POSSO FARE PER MIGLIORARE I DOLORI DEL TRAVAGLIO?

Durante il primo stadio del travaglio di parto (detta fase latente) la cosa migliore è rimanere a casa e aspettare. Ci sono alcuni accorgimenti che ti possono aiutare:

  • Cerca di distrarti, fai una passeggiata, guarda un film ecc.
  • Fatti un bagno (meglio di no se le tue acque si sono rotte) o una doccia calda
  • Prova a dormire o fare un pisolino. Hai bisogno di accumulare energia per il travaglio di parto!

QUANDO DOVREI CHIAMARE IL MIO GINECOLOGO O ANDARE IN OSPEDALE?

Quando tu capisci di essere nella fase attiva del travaglio  devi chiamare il ginecologo o contattare l’ospedale. Lo devi chiamare anche se:

  • pensi che ti si siano rotte le acque
  • stai sanguinando
  • ti sembra che il bambino si stia muovendo meno del solito
  • le tue contrazioni sono veramente dolorose e insopportabili, e sono ritmiche, ogni 5 minuti, da almeno un’ora.

E POI??? .....IN BOCCA AL LUPO!!

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GRAVIDANZA DOPO 40 ANNI

Qualche volta mi sento chiedere da donne di quaranta anni: “Quanto posso aspettare ancora, prima di fare un figlio?”

ASPETTARE ANCORA?? A QUARANT'ANNI??

Forse l’argomento merita qualche chiarimento.

La fertilità cambia nel corso della vita. Questo è un dato di cui dovremmo essere consapevoli!

Nelle ragazze, l'inizio del periodo riproduttivo è caratterizzato dalla comparsa della prima mestruazione e della ovulazione; dopo la menopausa la donna non ha più l'ovulazione. Generalmente il potenziale riproduttivo diminuisce a mano a mano che l'età avanza, e si calcola che la fertilità diminuisca drasticamente 5 - 10 anni prima della comparsa della menopausa.

Nella società odierna sta diventando sempre più frequente posticipare l’età della prima gravidanza. Le cause socio-culturali sono varie: dal cambiamento dello stile di vita al prolungarsi degli studi, dalla difficoltà a trovare un lavoro alla crisi economica incombente, ecc. Ma, anche se oggi le donne sono più longeve, hanno una maggiore attenzione alla loro salute e sono più sane, il miglioramento della condizione di vita non modifica affatto il declino naturale della fertilità legata all'età. E questo declino può avvenire molto prima di quanto le donne possano immaginare….

Il feto femmina, intorno alla 20ª settimana di gestazione, ha la massima quantità di ovociti della sua vita (uovo femminile, 6-7 milioni). Già alla nascita, però, la bambina ha una quantità di ovociti nettamente inferiore alla fase fetale (1-2 milioni).  Con il passare degli anni, il numero di ovociti nelle ovaie diminuisce per un processo naturale di degenerazione (atresia). Superati i 30 anni, una donna conserva solamente il 12% degli ovociti iniziali; a 40 anni la percentuale scende al 3-4% per diventare quasi nulla dopo i 45 anni.

Il periodo riproduttivo migliore della donna è dai 20 ai 30 anni. La fertilità diminuisce gradualmente dopo i trent'anni, in particolare dopo i trentacinque. Una donna sana e fertile di trent'anni ha il 20 % di possibilità di avere una gravidanza per ogni tentativo mensile. All'età di 40 anni la chance di avere una gravidanza ad ogni ciclo  è inferiore al 5 %. La diminuzione della quantità di ovociti è detta “riduzione della riserva ovarica”. La riserva ovarica diminuisce drasticamente molto prima dell’inizio della menopausa e la maggior parte delle donne dopo i 45 anni non riuscirà ad avere più una gravidanza. Queste percentuali sono estremamente reali, sia per il concepimento naturale che per le tecniche di procreazione assistita come la fertilizzazione in vitro. Sebbene le storie che compaiono sui media e sui siti gossip inducano a credere che sia sempre possibile, con il ricorso a tecniche di procreazione assistita (FIVET, ICSI ecc.), avere una gravidanza, l'età della donna condiziona pesantemente il successo di questi trattamenti. Infatti dopo i 45 anni gli ovociti perdono totalmente la loro capacità riproduttiva e le gravidanze si ottengono generalmente mediante l'ovodonazione (cioè ricevendo l'ovulo da una donna donatrice giovane). La perdita della capacità riproduttiva età-dipendente è strettamente correlata al declino della qualità e della quantità degli ovociti.RIUSCIRE AD AVERE UN BAMBINO

Il peggioramento qualitativo degli ovociti legato all'età provoca, oltre a una diminuzione della percentuale delle gravidanze, anche un aumento del numero degli aborti spontanei. Si verifica infatti una maggiore frequenza di alterazioni genetiche chiamate aneuploidie (presenza di un numero irregolare di cromosomi nell’ovocita) il che significa che, se la fertilizzazione ha successo, l'embrione avrà comunque delle alterazioni cromosomiche. Ben conosciuta è la sindrome di Down in cui l'embrione ha un cromosoma 21 in più. La maggior parte di questi casi con un numero di cromosomi alterato esita in aborti.

Qual'è dunque l'età massima per avere un figlio?

È di essenziale importanza che le donne che desiderano una gravidanza siano informate e consapevoli dell’impatto dell’età sulla fertilità. Le donne con più di 37 anni che stanno provando ad avere una gravidanza dovrebbero intraprendere un percorso diagnostico e terapeutico già dopo sei mesi di fallimento, o anche prima se esiste una precisa indicazione clinica.

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L’ABORTO SPONTANEO: UN INCIDENTE IN GRAVIDANZA

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ABORTOTi è capitato per la prima volta, ma se ti guardi intorno e chiedi a qualche amica, scopri che tante hanno avuto un aborto spontaneo! E ora, cosa succederà? C’è qualcosa in te che non funziona? E’grave? Potrai mai avere un bambino?

Rilassiamoci e cerchiamo di dare qualche risposta.

L'ABORTO SPONTANEO

L’ aborto spontaneo è l’interruzione della gravidanza prima della 25° settimana di gestazione. Si calcola che circa il 50 % di tutte le gravidanze (conosciute o ancora sconosciute, cioè prima del ritardo mestruale), e il 15 – 25 % delle gravidanze già diagnosticate, esiti in aborto spontaneo.

Quindi è molto frequente!

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LE CAUSE DELL’ABORTO SPONTANEO RIMANGONO MOLTO SPESSO SCONOSCIUTE.

ABORTO PRECOCEL'ABORTO PRECOCE (primi 2 – 3 mesi di gravidanza)

La maggior parte degli aborti (80%) avviene nei primi 3 mesi di gravidanza. L'aborto precoce è causato, nella maggior parte dei casi, dalla presenza nel bambino di alterazioni genetiche o cromosomiche, non ereditarie, cioè non trasmesse dai genitori, che compaiono a caso durante la replicazione delle cellule embrionali.

L’interruzione della gravidanza avviene molto presto, e in questi casi a nulla valgono le terapie, il riposo a letto o altro per evitare l’aborto! Tu non hai nessuna responsabilità e nessuna colpa. Non rimproverarti nulla! L’aborto in questi casi era inevitabile perché dipendeva da un’alterazione genetica così importante da essere incompatibile con la vita del bambino.

ABORTO TARDIVO  (14 – 24 settimane)

La causa di aborto dopo le 14 settimane può essere una malattia materna:

  • infezioniABORTO E TIROIDE
  • diabete
  • malattie della tiroide
  • problemi ormonali
  • malattie immunitarie
  • alterazioni dell’utero
  • Denutrizione
  • obesità
  • uso di alcol o droghe
  • età materna avanzata
  • traumi
  • pressione sanguigna altaABORTO TARDIVO
  • medicine incompatibili con la gravidanza
  • Qualche volta nel secondo trimestre di gravidanza, il problema può essere legato alla incompetenza cervicale, cioè a un collo uterino che si dilata e provoca l’aborto.

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TIPI DI ABORTO SPONTANEO

Esistono diversi tipi di aborto spontaneo:

  • L’aborto interno, in cui anche se la gravidanza si è interrotta, l’embrione o il feto è presente e non ha attività cardiaca. Spesso non ci sono sintomi di sanguinamento o dolore e la diagnosi avviene durante un’ecografia di controllo. Il blighted ovum, detto anche uovo vuoto, è un tipo di aborto interno in cui c’è stato l’impianto dell’uovo fecondato nell’utero ma non si è mai verificato lo sviluppo dell’embrione.
  • L’aborto incompleto, in cui le membrane si sono rotte e parte del materiale fetale e ovulare è stato espulso, ma nell’utero rimangono dei residui più o meno adesi alle pareti.
  • L’aborto completo, in cui il prodotto del concepimento è stato completamente espulso e l’utero è vuoto.

La minaccia d'aborto invece è una condizione in cui i sintomi (dolore pelvico e lombare, perdita di sangue dall'utero), pur essendo il collo uterino chiuso e il feto vitale. fanno temere l'imminenza di un aborto

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I SINTOMI POSSONO ESSERE:

 

I sintomi classici sono:SANGUINAMENTO VAGINALE - ABORTO

  • Dolori addominali lievi o severi
  • Crampi
  • Dolore lombare
  • Macchie di sangue
  • Forte sanguinamento vaginale
  • Espulsione di coaguli o materiale ovulare
  • Spesso...NESSUN SINTOMO!

Molto spesso infatti la gravidanza si è interrotta ma possono passare anche settimane prima che compaiano i classici sintomi di aborto! Questo avviene perché gli ormoni prodotti dall’ovaio e dalla placenta continuano a mantenere il sacco gestazionale intatto nell’utero, anche se l’embrione non c’è, o se c’è, non è più vivo.

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COME SI FA LA DIAGNOSI

La diagnosi può essere semplice nei casi evidenti, ma a volte è complicata e richiede l’esecuzione di più controlli ravvicinati per chiarire se la gravidanza si sia realmente interrotta. La tua ginecologa ti farà fare il test delle BHCG sul sangue, una visita ginecologica accurata e l’ecografia endovaginale.

Cosa ci dicono questi esami?

BHCG E ABORTOLa BHCG si esegue mediante un prelievo di sangue che valuta l'ormone prodotto dal trofoblasto, la piccola placenta che si forma inizialmente. Se il valore è alto per l’epoca

gestazionale, bene! se è basso...

In realtà un singolo valore di BHCG non ha un netto significato predittivo, e nella maggior parte dei casi sono necessari dosaggi ripetuti per analizzare se la BHCG cresce bene,  se cresce poco o se addirittura diminuisce, a indicare la presenza di aborto in atto.

L’ecografia ci fa vedere cosa sta succedendo nell’utero. C'è il sacco gestazionale in utero? Il sacco gestazionale è grande a sufficienza o è piccolo? Si vede l’embrione? E se l’embrione si vedeECOGRAFIA ABORTO, ha il battito cardiaco? Ci sono raccolte di sangue nell’utero? Studi scientifici hanno dimostrato che, fra la dimensione del sacco gestazionale, i valori della BHCG e la mancanza di vitalità dell’embrione, esiste una stretta correlazione che permette di fare diagnosi di aborto spontaneo.

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SE VIENE DIAGNOSTICANO UN ABORTO SPONTANEO, COME SI PROCEDE?RSCHIAMENTO ABORTO

Se l’aborto è completo il materiale abortivo è stato completamente espulso. Spesso c’è un sanguinamento e un dolore pelvico che ricordano la mestruazione. L’ecografia documenta l’assenza di materiale nella cavità uterina e i sintomi regrediscono nel giro di pochi giorni. In questo caso non sono necessarie procedure chirurgiche.

 

Nella maggior parte dei casi però l'aborto è incompleto, cioè nella cavità uterina rimangono residui di materiale abortivo. La rottura del sacchetto gestazionale e le contrazioni uterine hanno parzialmente espulso i residui ma spesso parte del materiale placentare rimane adeso alle pareti dell’utero. Si rende quindi necessario effettuare un raschiamento per pulire l’utero e svuotarlo completamente.

Anche nel caso di aborto interno è necessario, dopo aver dilatato il collo dell’utero, effettuare l’estrazione del materiale abortivo. Se l’epoca gestazionale non è molto avanzata, il materiale viene rimosso con una cannula aspiratrice e poi si esegue un controllo dell'utero con l’ecografia per vedere che non siano rimasti residui. Se la gravidanza invece ha superato le 9-10 settimane, si somministrano per via vaginale dei farmaci chiamati prostaglandine che dilatano il canale cervicale e stimolano le contrazioni uterine, e poi si fa la revisione chirurgica. La procedura viene effettuata in day hospital e la ripresa delle normali attività è rapida.

Il ciclo mestruale generalmente ricompare dopo 4/5 settimane.

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SI PUÒ PREVENIRE UN ABORTO?PREVENZIONE ABORTO

Purtroppo non è possibile perchè molto spesso non ci sono segni premonitori, si scopre di avere abortito quando la gravidanza si è già interrotta e non se ne può fermare il decorso. Nella maggior parte dei casi non è possibile capire le cause del singolo aborto e non sono necessari ulteriori accertamenti. Invece nei casi di aborto ripetuto è opportuno fare esami approfonditi alla ricerca di alterazioni che possano evidenzire una causa materna da curare (infezioni, malattie autoimmunitarie, malattie della tirode ecc)

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MA E' IMPORTANTE RICORDARE CHE:

SPORT ABORTO

  • l’esercizio fisico e i rapporti sessuali non provocano aborto;
  • lavorare non fa male al bambino tranne che per alcuni lavori a rischio.
  • Avere avuto 1 solo aborto non aumenta il rischio di abortività. Infatti solo 1 donna su 100 successivamente avrà 3 o più aborti (aborto ripetuto) e comunque almeno il 60 % di queste donne con abortività ripetuta riuscirà ad avere una gravidanza a termine.

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POTRO’ AVERE UN BAMBINO DOPO UN ABORTO?

GRAVIDANZA ABORTOCerto che si!

Avere avuto un aborto non significa avere problemi di fertilità.

Quasi il 90 % delle donne che ha avuto un aborto riuscirà ad avere una gravidanza normale e un figlio.

 

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IL PAP TEST, L’HPV TEST E LA COLPOSCOPIA. 10 RISPOSTE VELOCI

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  1. A cosa serve il Pap test

Il Pap test è un test di screening (screening significa che viene effettuato anche nelle donne sane), che viene effettuato analizzando le cellule prelevate dal collo dell’utero.  Questo test evidenzia le alterazioni cellulari che nel tempo potrebbero condurre al tumore del collo dell’utero.

  1. Come si fa il Pap test

Il ginecologo preleva delicatamente con una spatola e un bastoncino un po' di materiale dal collo dell'utero e dalCOME SI FA IL PAP TEST canale cervicale. Poi in laboratorio questo prelievo viene guardato al microscopio per studiare le cellule del collo dell’utero

  1. Striscio o Pap-test sono la stessa cosa?

Sì, spesso i due termini vengono usati per dire la stessa cosa. A volte però per striscio si  intende solo l’esame che si fa per vedere se c’è un’infezione vaginale.

  1. Con il Pap-test si vede la presenza del virus HPV?

No, il virus HPV non si vede con il Pap-test. Però il Pap-test può farci vedere le alterazioni cellulari dovute alla presenza del virus.

  1. Che cos'è invece il test per la ricerca del papilloma virus (HPV TEST)?PAP TEST E PAPILLOMA VIRUS

E’ un esame che si esegue in modo simile al Pap-test. Il materiale prelevato però non viene letto al microscopio, come nel Pap-test, ma analizzato in laboratorio per la ricerca del virus. La differenza fra i due è che il pap test fa vedere se ci sono alterazioni delle cellule del collo dell’utero ma non ci dice se il virus è presente, mentre l'HPV TEST ci fa vedere se il virus è presente ma non ci dice se ci sono le alterazioni cellulari.

  1. Perché oggi si può fare lo screening per i tumori del collo dell’utero con il test HPV al posto del Pap-test?

Perché ultimamente molti studi hanno evidenziato che il test HPV trova più lesioni del collo dell’utero di quante ne trovi il Pap test e quindi sembra essere più protettivo. Il Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018 prevede che entro il 2018 tutti i programmi di screening italiani passino dal Pap test al test HPV come test primario per le donne dai 30-35 anni.

  1. Perché però lo screening con HPV è raccomandato solo nelle donne VISITA E PAP TESTdopo i 30-35 anni?

Perché nelle donne più giovani le infezioni da HPV sono molto più frequenti e nella maggior parte dei casi guariscono spontaneamente. Per cui lo screening con HPV eseguito nelle donne al di sotto i 30-35 anni ci farebbe trovare, e quindi trattare, un numero eccessivo di lesioni che invece sarebbero regredite spontaneamente. Pertanto sotto i 30-35 anni è raccomandato lo screening con il Pap-test. Se nel tuo Pap-test saranno trovate delle alterazioni, sarai invitata a fare una colposcopia

  1. Che cosa è la colposcopia?COLPOSCOPIA PAP TEST

La colposcopia è un controllo simile alla visita ginecologica: il ginecologo usa uno strumento chiamato colposcopio, che serve a illuminare il collo dell’utero e a vederlo ingrandito. Se il ginecologo vede delle alterazioni fa una biopsia, cioè un piccolo prelievo di tessuto dal collo dell’utero. In genere la colposcopia non è dolorosa. Con la biopsia potresti sentire un piccolo fastidio, come una puntura o un lieve dolore.

  1. Mi hanno tolto l’utero: devo fare il Pap test?

No, perché i tumori della vagina, che possono essere provocati dal virus, sono molto rari.

  1. Ci sono esami del sangue specifici per il virus HPV?

No, nella pratica corrente non ci sono esami del sangue specifici per il virus HPV.

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COME HO PRESO L’HPV? 15 RISPOSTE VELOCI

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HPV - PAPILLOMA VIRUS

1.  Come si prende l’infezione da HPV?

L’infezione si prende quasi esclusivamente per via sessuale, sebbene sia - almeno teoricamente - possibile anche la trasmissione attraverso l'uso promiscuo di biancheria intima infetta; inoltre, anche se rara, è possibile la trasmissione materno-fetale al momento del  parto.

2. E' necessario un rapporto sessuale completo?

Non sempre è necessario. Infatti, l’infezione da HPV è molto frequente e viene facilmente trasmessa tra uomini e donne e fra partners dello stesso sesso, anche in assenza di penetrazione. Non si possono escludere vie indirette di infezione, dato che il virus è stato trovato anche nella bocca e sotto le unghie.

 3.  All’infezione sono esposte solo le donne?

No, la possono avere sia gli uomini sia le donne. Però il virus HPV più raramente provoca manifestazioni nell’uomo.HPV E RAPPORTI SESSUALI

4.  Un uomo come prende l’infezione

Generalmente per via sessuale, come la donna

5.  Dopo quanto tempo guarisce l’infezione da HPV?

La maggior parte delle infezioni scompare spontaneamente, circa il 50% nel corso di un anno e circa l’80% in due anni. Una persona rimane portatrice finché l’infezione non va via.

6.  Esistono portatori sani che trasmettono l’infezione ma non manifestano mai la malattia?

Questo è proprio il caso più frequente! In genere infatti sia HPV CONDILOMI l’uomo sia la donna non hanno manifestazioni evidenti dell’infezione, ma sono in grado di trasmetterla.

7. Ma io quando ho preso il virus HPV?

Non si può conoscere il momento esatto del contagio, che può risalire a molti anni prima. Si può infatti rimanere portatori del virus HPV per molti anni senza avere sintomi: una persona, cioè, non si accorge di avere l’infezione.

8. Il mio compagno mi può attaccare i condilomi?HPV TRADIMENTO

Sì, i condilomi possono essere trasmessi dal partner.

9. Se ho avuto un solo compagno da chi ho preso l’infezione?

Molto probabilmente hai preso l’infezione dal tuo compagno. Ma lui può avere contratto il virus molti anni prima di conoscerti. In qualche caso infatti sia gli uomini sia le donne possono rimanere portatori del virus per molti anni.

10. Devo dire al mio compagno che ho questa infezione, e lui deve fare qualche controllo?

Decidi tu se parlarne con il suo compagno, non è così indispensabile: il virus HPV provoca manifestazioni nell’uomo più raramente. Eventualmente parlane con il tuo ginecologo.HPV PRESERVATIVO

11. Come mai nel caso del papilloma virus il preservativo è meno efficace che in altre infezioni?

Probabilmente perché il virus HPV si trova anche sulla pelle non protetta dal preservativo, nella bocca e sotto le unghie.

12. L’infezione da virus HPV è più frequente adesso o c’è sempre stata?

L’infezione c’era anche prima, ma solo da pochi anni è stato scoperto che il virus HPV può causare il tumore del collo dell’utero e sono stati sviluppati test utili per la sua diagnosi.

13. E’ necesario che io modifchi il mio stile di vita?

Se fumi devi sapere che il fumo di tabacco è un importante fattore di rischio per le le sioni pretumorali e per il tumore del collo dell’utero, quindi è fondamentale smettere di fumare.

14. Le donne che hanno rapporti sessuali con altre donne e le donne bisessuali possono prendere l'infezione da HPV? HPV OMOSESSUALE

 Sì, alcuni studi fatti con donne che avevano rapporti sessuali con altre donne e con donne bisessuali hanno trovato che tra il 3% e il 30% di loro aveva un test HPV positivo. Quindi l’infezione da HPV si può prendere anche attraverso rapporti sessuali tra donne, anche se il rischio di prenderla attraverso rapporti sessuali con uomini è probabilmente maggiore.

15. Dopo la menopausa si può prendere ancora l’infezione da HPV?

Sì, anche se l’infezione è molto più rara dopo la menopausa, sia perché le occasioni di contagio sono meno frequenti, sia perché la conformazione del collo dell’utero cambia rendendolo meno esposto alle infezioni.

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PAPILLOMA VIRUS HPV

  1. Che cosa è l’HPV?

L’HPV (papilloma virus umano) è un virus che provoca un’infezione molto frequente della zona genitale maschile e femminile.

  1. Quali sono gli effetti dell’infezione da HPV nella donna?

Nella maggior parte dei casi l’infezione si risolve spontaneamente senza dare nessun sintomo o segno. La maggioranza delle donne non si accorge nemmeno di avere contratto l’infezione. In alcuni casi invece l’infezione provoca delle lievi alterazioni alle cellule del collo dell’utero che vengono scoperte dal Pap-test.

  1. Quanto tempo durano le alterazioni cellulari?

Le alterazioni cellulari in genere si risolvono da sole nel giro di qualche mese. In pochi casi però possono diventare lesioni del collo dell’utero, chiamate displasie.LESIONE DA HPV

  1. Che cosa succede se le displasie provocate dall’HPV non vengono trattate?

La maggior parte delle displasie guarisce spontaneamente, ma alcune, se non curate, possono progredire e diventare tumori. Questo però è un evento molto raro e che richiede generalmente molti anni. Ecco perché è importante fare i controlli regolarmente.

  1. Le alterazioni cellulari sono sempre provocate dal virus HPV o possono essere dovute ad altri motivi?

FUMO E HPV

Oltre che al virus HPV alcune alterazioni cellulari possono essere dovute a un processo infiammatorio o a un particolare stato ormonale, per esempio la menopausa.

  1. Le displasie sono sempre provocate dal virus HPV o possono essere dovute ad altri motivi?

Generalmente le lesioni sono provocate dal virus HPV. Però, poiché solo pochissime donne che hanno il virus sviluppano una displasia, sicuramente il sistema immunitario, il fumo e altri fattori, hanno un ruolo importante.

  1. E’ possibile capire quali lesioni guariranno e quali no?

Gli studi attuali ancora non ci permettono di capire con certezza quali lesioni guariranno e quali no. Si sono però alcuni nuovi test che permettono di valutare l’aggressività del virus. L’importante è tenere sotto controllo tutte le lesioni e trattare solo quelle al di sopra di una certa gravità.

  1. L’HPV causa il tumore del collo dell’utero?

Sì, ma solo pochissime donne con infezione da HPV sviluppano un tumore del collo dell’utero. Inoltre ci vogliono molti anni perché le lesioni provocate dal virus si trasformino in tumore.

  1. Che cosa sono i condilomi genitali?CONDILOMI HPV

I condilomi genitali (chiamati anche condilomi floridi o condilomi acuminati o creste di gallo) sono delle piccole escrescenze che possono comparire sui genitali della donna e dell’uomo provocate dall’HPV. Possono dare bruciore e prurito ma non sono pericolose. 

  1. Il virus HPV che causa il tumore del collo dell’utero è lo stesso che fa venire i condilomi genitali?

Sono virus della stessa famiglia, ma i virus HPV che causano le verruche e i condilomi non provocano il tumore del collo dell’utero. Per questo motivo i virus HPV che causano il tumore del collo dell’utero sono chiamati virus ad alto rischio oncogeno, e quelli che causano i condilomi genitali sono chiamati virus a basso rischio oncogeno.

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LA TERAPIA DELLA DISMENORREA: ELIMINARE LE MESTRUAZIONI PER VIVERE UNA VITA SENZA DOLORE

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DOLORE MESTRUALE"Durante le gare di nuoto alle Olimpiadi di Rio del 2016, la nuotatrice cinese Fu Yuanhui dichiarò che la sua cattiva prestazione atletica nella finale della staffetta 4×100 mista era stata causata dall’arrivo delle mestruazioni cominciate la notte precedente la gara". 

La testimonianza di questa campionessa sottolinea come per molte donne la mestruazione rappresenti ogni mese un’esperienza dolorosa e invalidante, che  spesso comporta l’assunzione di molti medicinali e la perdita di giorni di scuola, di lavoro e di vita. 

La causa della dismenorrea sembra essere un aumento anomalo di prostaglandine (sostanze ad azione pro infiammatoria) nel sangue mestruale, che provoca costrizione dei vasi uterini e crampi dell’utero. Le prostaglandine in eccesso inoltre, riassorbite nel circolo sanguigno, possono dare sintomi associati come diarrea, nausea e mal di testa. Il malessere può essere tale da provocare persino svenimento e costringere a letto per giorni.

CHE ARMI ABBIAMO CONTRO LA DISMENORREA?

DOLORE MESTRUALE CURAI farmaci di prima scelta sono rappresentati dai FANS, sigla che sta per farmaci antiinfiammatori ad azione non steroidea (non cortisonici), proprio per la loro attività anti-prostaglandinica. Questi farmaci bloccano la reazione a cascata nella formazione delle prostaglandine e dei loro mediatori chimici; devono quindi essere assunti il prima possibile, prima che la concentrazione di prostaglandine aumenti eccessivamete, la loro produzione sia inarrestabile e il dolore mestruale diventi insopportabile. Se assunti in ritardo sono meno efficaci anche a dosaggio più alto, e gravati di maggiori effetti collaterali.

Spesso però, nonostante le terapie antidolorifiche, il ciclo mestruale e la dismenorrea possono portare nella vita quotidiana una serie di disagi DOLORE MESTRUALE SINTOMIinsopportabili … allora che fare?

In questi casi il blocco dell’ovulazione e/o la soppressione del ciclo mestruale sono una valida scelta terapeutica per il trattamento della dismenorrea.

IL BLOCCO DELL’OVULAZIONE

TERAPIA DELLA DISMENORREA PILLOLA ANTICONCEZIONALEUn recente studio svedese ha dimostrato che la pillola contraccettiva ha un'efficace azione analgesicao per i dolori del ciclo mestruale. Questo è stato il primo studio che ha accertato un effetto di cui si parlava da tempo ma che non era ancora stato dimostrato. La pillola infatti inibisce lo sviluppo follicolare, blocca l’ovulazione e riduce la crescita dell’endometrio in fase premestruale, diminuendo pertanto la produzione di prostaglandine e la quantità del flusso.

Nel 80-90% delle pazienti che presentano dismenorrea la pillola anticoncezionale estro-progestinica ha una buona efficacia. Sono indicate soprattutto le pillole da 28 compresse mensili che hanno solo 2 o 4 pillole inattive e una pausa breve, che non permettono all’endometrio di ispessirsi e provocano un flusso leggero.

E SE LA PILLOLA NON FUNZIONA SUFFICIENTEMENTE? …

SOPPRESSIONE DELLA MESTRUAZIONE

SOPPRIMIAMO LA MESTRUAZIONE!

Effettivamente, nei casi di dismenorrea grave, la soppressione ormonale delle mestruazioni dà la risposta terapeutica migliore.

Ci sono vari modi per non fare arrivare il flusso. Il modo più semplice è quello di prendere la pillola in modo continuo senza fare pause.

Normalmente, se assumo una pillola contraccettiva da 21 compresse, finita l’assunzione, prima di ricominciare il nuovo blister, faccio una pausa di 7 gg che provocherà un abbassamento del livello ormonale con conseguente flusso mestruale da privazione. Eliminando questa pausa, il flusso mestruale con i suoi sgradevoli sintomi non arriverà! Se uso l’anello vaginale (che è sempre un contraccettivo ormonale, badate bene!) e non faccio la pausa di 7 gg fra una introduzione e l’altra dell’anello in vagina, la mestruazione non comparirà! Se prendo una pillola contraccettiva da 28 giorni, salto le ultime 2 o 4 compresse “inattive” (pillole placebo) e continuo iniziando un nuovo blister, il ciclo non arriverà!

Esistono pillole che sono state studiate proprio per la soppressione del ciclo mestruale e funzionano assumendo continuativamente 84 giorni di pillole attive seguite da sette giorni di pillole placebo. In questo modo consentono di avere il ciclo ogni 3-4 mesi riducendo i periodi mestruali da tredici l’anno a quattro. Scusate se è poco!

Da ultimo, la spirale al progesterone generalmente, nel giro di pochi mesi, provoca la comparsa di cicli scarsi e saltuari e la diminuzione della dismenorrea.

Insomma, il segreto è non sospendere mai (o quasi mai) l’assunzione del contraccettivo ormonale!

soppressione della mestruazioneSpesso però, l’opposizione all’uso di questi metodi nasce da lontano, da pregiudizi o false convinzioni su i possibili danni alla salute della donna causati dalla contraccezione ormonale e dalla soppressione della mestruazione.

ALLORA SAPPI CHE:

  • non è vero che se il ciclo mestruale arriva regolarmente vuol dire che la donna è sana.
  • non è vero che il flusso di sangue che viene durante l’assunzione della pillola è come una vera mestruazione e che quindi sopprimerlo può causare danni. E’ semplicemente una perdita di sangue dovuta al calo ormonale: che ci sia o non ci sia è ininfluente. Nel passato per la pillola è stata formulata questo tipo di posologia con la sospensione perché vedere l’arrivo del flusso rassicurava la donna e le dava la certezza di non essere rimasta incinta.
  • Non è vero che più mestruazioni vengono e migliore è la salute della donna. Nel passato le donne avevano molti più figli e allattavano molto di più, per cui al massimo un donna aveva in media 160 cicli nella sua vita, e questo era il vero ritmo “naturale”! Oggi figli non se ne fanno quasi più nè tanto meno si allatta, e questo provoca una media di 400 cicli nella vita (tanti!), con tutti i risvolti negativi che questo può dare, dolori inclusi e maggiore rischio di cancro mammario.

 LA DISMENORREA SI PUO’ CURARE!

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cura della dismenorrea